Le ragazze perdute nella tratta
Le ragazze perdute nella tratta

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Un giro d’affari che oscilla tra i 4 e i 5 miliardi di euro l’anno, per un bacino di “utenza” che raggiunge secondo alcune valutazioni i 10 milioni di “clienti” ogni anno. I numeri della prostituzione in Italia, ricavati da una stima della Fondazione Gedama di Bergamo, che da anni si occupa del fenomeno, sono impressionanti. Un turpe business alimentato dalla tratta internazionale di esseri umani, in particolare giovani donne e minorenni. Secondo “Save the children”, su 2.033 persone prese in carico dalla rete anti tratta nel 2019, l’84% era vittima di sfruttamento sessuale. Una su 12 ha meno di 18 anni. Le schiave moderne – sarebbero circa 30 mila nel nostro Paese – arrivano soprattutto dalla Nigeria, ma anche da Albania e Romania. Dietro il traffico ci sono le mafie di quei Paesi, ormai fortemente radicate in Italia. Al punto da stringere veri e propri accordi per la spartizione del territorio, con l’assegnazione dei marciapiedi a questa o a quella etnia. Ma il problema non è solo nostro. L’Unodc, l’Ufficio anticrimine dell’Onu, ha contato più di 11mila vittime di tratta nel 2020 in Europa occidentale. Di queste, il 44% è stato “importato” come oggetto di piacere. Il Covid ha solo frenato la domanda. Ma gli incontri a luci rosse sono in qualche misura proseguiti a domicilio. Poi sono ripartiti di slancio in strada con la fine del coprifuoco. Senza alcun riguardo, va da sé, per le misure di distanziamento e prevenzione del contagio.

«Le vittime, sottoposte a un giuramento, si impegnavano a non denunciare e a pagare all’organizzazione il debito d’ingaggio e la quota per il viaggio dalla Libia all’Italia, ammontante a circa 25 mila euro». Basta una frase tratta dall’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (febbraio 2021) per fotografare il destino delle ragazze nigeriane deportate in Italia per prostituirsi. L’inganno, la rotta del Mediterraneo, la violenza e la paura. Le notti passate sulla strada ad aspettare uomini che comprano piacere, senza curarsi della sofferenza altrui. Compresa nel prezzo, come le prestazioni sessuali. A chi importa, in fondo, di una ventenne nigeriana in tacchi a spillo? Di certo non alla “maman”, che prima si finge amica e poi si rivela aguzzina, costringendola a vendersi per ripagare il debito contratto con la rete criminale che l’ha portata in Italia. «I rituali praticati sulle giovani – sottolinea la Dia – consistono nel pronunciare un giuramento nelle mani delle “maman”, donne più anziane che sono state a loro volta vittime di tratta sino a quando non sono riuscite a riscattarsi pagando il tributo all’organizzazione. Queste ultime inducono le malcapitate ad una perdita della loro identità ed alla convinzione di essere diventate proprietà di altri. Per assicurare la tenuta associativa è inoltre sempre presente il ricorso alla violenza». Un metodo praticato anche da delinquenti albanesi e rumeni, che attirano in Italia le giovani e belle connazionali con la promessa di un buon posto di lavoro o illusori fidanzamenti. Poi le costringono a vendersi per pochi euro.

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Argomenti: Società
Tag: donne mafie migranti minori Save the children tratta
Fonte: Avvenire