

“Rosario Livatino ricorda il dovere di amministrare la giustizia come esigenza intrinseca della fede e dell’apostolato cristiano, fino all’ultimo”. Così mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e postulatore della causa di beatificazione, parlando al Sir, indica l’eredità del giudice a latere di Agrigento, nel 30° anniversario dell’uccisione, per mano dell’organizzazione mafiosa della Stidda. Una testimonianza, espressa da Livatino con la sua stessa vita, che ha generato alcune conversioni. Riconosciuto Servo di Dio, a lui si attribuisce anche l’intercessione per una guarigione miracolosa. Adesso, la causa di beatificazione è all’esame della Congregazione vaticana.
Sono trascorsi trent’anni dall’uccisione del giudice Livatino. Che cosa ha generato in questo tempo la sua morte a causa della giustizia?
Il Servo di Dio viene assassinato nella prima mattinata del 21 settembre 1990. L’assassinio fu portato a termine dai membri di un commando di fuoco dotato di armi da guerra, composto da esponenti delle cosiddette Stidde (rami staccatisi da Cosa Nostra), mentre egli, privo – come sempre – di scorta, raggiungeva la sede del Tribunale di Agrigento. Sacrificatosi per il trionfo della giustizia e dell’idealità della sua fede cristiana, Livatino, con la sua morte tragica, è diventato seme di conversione per alcuni suoi mandanti e assassini, ma soprattutto ha dimostrato che anche in un territorio oppresso da corruzione e mafie è possibile praticare la giustizia e odiare l’iniquità.