
Quel giorno era in programma la Bagnaria – Santuario Basilica Nostra Signora di Montallegro, sopra Rapallo, in bicicletta, 118 km e tre gran premi della montagna (Brallo, Fregarolo e Crocetta) più l’arrivo in salita, totale 2600 metri di dislivello. A metà strada, all’appello, mancava Boktor, un ragazzino egiziano. Dove sarà finito?, si domandavano, preoccupati, quasi tutti, perché gli altri erano preoccupatissimi. Non conosce la strada, si diceva, non ha il telefono, si sospirava, non sa neanche bene l’italiano, si ammetteva. L’unico a non perdere la fiducia, né tantomeno la fede, era l’ideatore della pedalata, l’organizzatore della trasferta, il responsabile del gruppo: don Agostino Frasson. E a chi gli chiedeva perché fosse così tranquillo, spiegava: «Boktor ha attraversato il Mediterraneo su un canotto, che cosa vuoi che sia per lui trovarsi su queste colline in bicicletta?». Fiducia e fede non tradirono don Agostino: Boktor, accolto, ospitato, rifocillato e indirizzato da un abitante locale caritatevole, ritrovò la strada per tornare al punto di partenza e riunirsi al gruppo. Don Agostino Frasson ha 58 anni, è il direttore della Casa don Guanella di Lecco e il presidente della Cooperativa sociale Cascina don Guanella, e ha un sacro rispetto per la bicicletta: «In bici si prega e si espia, ci si confessa e ci si purifica, si condivide la strada e si cerca la via. E se qualche volta capita di perderla, poi con l’aiuto delle mappe, o degli amici, o eventualmente di Dio o chi per Lui, la si ritrova».
Fiato infinito («La capacità polmonare, a forza di prediche, non si perde mai») e gambe potenti («Senza offendere nessuno, si può passare dal benedettino «ora et labora» al guanelliano ora et pedala, e il risultato è questo »), “don Bicicletta” – come lo ha allegramente ribattezzato qualcuno dei suoi discepoli a due ruote – si dedica all’educazione, qualche volta alla rieducazione, altre volte alla riabilitazione di senza tetto, senza famiglia e anche senza bicicletta. «Un tetto è facile da dare, una famiglia no, ma una comunità come la nostra sì, e quanto alla bicicletta, se ne trova sempre qualcuna in prestito o in eredità». E con la bicicletta, ecco la libertà e, a sprazzi, la felicità. «Avevo scoperto che, quando mi giravano, non c’era niente di meglio che far girare anche le gambe. Tornavo più tranquillo, obbediente e comprensivo, come un po’ sedato. E lo stesso effetto si produce anche sui ragazzi: a forza di pedali si combattono malinconia, nostalgia, solitudine, lontananza, distanza. In bici si fa gruppo, in tutti i sensi. In bici si fa scuola, un po’ di geografia e di italiano, un po’ di educazione civica e molto fisica, un po’ anche di religione».