
«Era il mio sogno da tanto tempo. Si è realizzato al momento giusto. Quando, con l’irruzione del Covid, la radio s’è fatta indispensabile». È emozionato monsignor Anthony Borwah, vescovo di Gbarnga, nel nord-est della Liberia. Fino al 15 maggio, i 1,2 milioni di abitanti della diocesi sono rimasti “senza voce”. Un problema non da poco in un Continente dove appena il 39 per cento della popolazione, secondo l’ultimo studio di Banca mondiale, ha accesso a Internet. E si tratta di una stima al rialzo: nei Paesi più poveri della regione, si scende sotto il 20 per cento. La tv e, ancor più, i giornali sono simboli di benessere limitati a un’esigua classe medio-alta. E la radio è l’unico strumento di comunicazione universale. La gente di Gbarnga, tuttavia, riusciva a captare, non senza difficoltà, solo le frequenze di due delle venti emittenti concentrate nella capitale, Monrovia.
«Il punto è queste raramente davano informazioni locali. La diocesi comprende tre contee e una miriade di villaggi sparsi e spesso distanti ore di cammino gli uni dagli altri. E i mezzi di trasporto sono scarsi. Occorreva qualcosa che arrivasse a tutti», sottolinea monsignor Borwah, il «vescovo giornalista», come è stato soprannominato.
«Eh già, ho studiato giornalismo a Roma. È stato parecchio tempo fa ma, grazie a quel tipo di formazione, ho capito che ci voleva uno strumento di comunicazione che potesse arrivare a tutti». Da questa “ostinazione profetica” è nata Radio Paraclete, cioè Paraclito, la voce dello Spirito, come ama definirla il vescovo.
Non a caso è stata inaugurata proprio il giorno di Pentecoste. «Non ce l’avremmo fatta senza l’aiuto della Conferenza episcopale italiana (Cei) che ci ha sostenuto con l’8xmille. E l’accompagnamento di Signis, Associazione cattolica mondiale per la comunicazione, con la sua squadra di Roma». Il progetto era in cantiere da ben prima della pandemia. Con l’irruzione del virus, però, è diventato urgente. Come ha sottolineato l’Onu, poco meno della metà del pianeta – il 46 per cento della popolazione – ha vissuto o vive il lockdown senza connessione alla Rete. Parole come smartworking, scuola a distanza, telemedicina suonano incomprensibili per gran parte del Sud del mondo «disconnesso».