
Dalla sommità delle fortificazioni di Tarifa, città bianca andalusa, si vede l’orizzonte chiuso della terra africana: da una parte c’è Tangeri dove ancora oggi resiste il mito di Paul Bowles, ossia del Marocco visto da uno scrittore americano inquieto e vagabondo, dall’altra Ceuta dove dietro sbarre alte come palazzi ci si difende a colpi di manganello, dalle folle di migranti che premono sui confini per entrare in Europa, tanto sognata quanto in realtà “lontana” nel suo essere costantemente sospesa tra ostilità e accoglienza.
Tarifa, che suona come un nome arabo di donna, è il punto d’incontro tra due mari, il Mediterraneo e l’Atlantico, ma al tempo stesso il confine tra due mondi, due civiltà, l’araba e la cristiana. Parlare di confini, di frontiere oggi può perfino apparire di moda, sia che se ne esalti l’assoluta necessità, sia che se ne lamenti l’oggettivo pericolo. Tuttavia, da queste parti la memoria collettiva della Reconquista, della definitiva cristianizzazione delle terre andaluse e quindi dell’intera Spagna (1492) è ancora non solo assai viva, ma col nuovo vento nazional-populista che si agita in una terra sino a ora a guida socialista, portando con sé non solo i fantasmi più tetri del franchismo, ma anche quelli della croce e della spada, ora sembra rivolta alle migrazioni del ventunesimo secolo.
Questo spiega, anche se solo in parte, la scarsa presenza d’immigrazione africana come di edifici di culto religioso islamico nelle antiche terre arabo andaluse di Cadice, Jerez de La Frontera, Arcos de La Frontera ma anche in grandi centri come, ad esempio, Siviglia. Si pensi, dunque, al paradosso secondo il quale, mentre si andava scoprendo il Mondo Nuovo (con tutto ciò che tale evento ha comportato in fatto di sterminio di intere popolazioni), si cacciava in fondo al Mediterraneo una cultura testimone di una civiltà raffinata basata sul principio di tolleranza tra i culti religiosi.
La tendenza dilagante ormai in tutta Europa a rinserrarsi entro i propri confini territoriali, rimette prepotentemente in gioco il concetto di nazione, resuscitando quel sentimento di intolleranza verso la diversità che si pensava superato, ma che in realtà covava sotto le ceneri dell’illuminismo, del pensiero marxista e anche di un’ideologia liberale che oggi cede piuttosto il passo a un neoliberismo sfrenato che sempre di più marcia verso un vicolo cieco che da solo potrebbe portare in un tempo non troppo lontano a una razionalizzazione dell’intolleranza e quindi, a una forma di regime totalitario o di democrazia illiberale come oggi vengono chiamati quei regimi parlamentari (un esempio su tutti, quello ungherese di Viktor Orban) in cui tutto il potere è concentrato nel partito del presidente.
Ci immergiamo nella luce cristallina di Cadice, circondata interamente dal mare. Dalle sue rive partì Cristoforo Colombo col figlio Fernando per il suo quarto e ultimo viaggio nel Nuovo Mondo. Una brezza atlantica, soave e leggera penetra fin dentro il monotono tessuto urbano composto da un’implacabile griglia ortogonale di stampo militaresco che nel XVIII° secolo, quando Cadice prese il posto di Siviglia nel ruolo di controllo dei commerci con l’America Latina, sostituì grandiosamente la vecchia e minuscola città medievale, diventando un modello urbanistico per le città del Nuovo Mondo, prima fra tutte Santo Domingo, poi Antigua e molte altre.
(di Maurizio Fantoni Minnella)