
Álvaro Navarro, direttore del sito “Articulo 66”, Ana Cruz, cronista di “El Nuevo Diario”, Israel Gonzáles Espinoza, corrispondente della spagnola “Religión Digital” e collaboratore di “Articulo ‘66”. Tre voci tra quelle che in queste settimane fanno sapere al mondo che nel Paese centroamericano è in atto una repressione sempre più feroce da parte del governo di Daniel Ortega. Un regime che si sta trasformando in dittatura, come ha detto una voce autorevole e imparziale, quella di Paulo Abrao, segretario esecutivo della Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh)
“Sono nella loro lista, sono costretto a lavorare in luogo nascosto, non posso uscire in strada”. “Fare la giornalista in Nicaragua è super-pericoloso. Io mi sono vista puntare in faccia un’arma, mi è stato rubato il cellulare… Spesso penso di lasciare il Paese, ma fino a che sono qua, voglio continuare a fare il mio lavoro”. “Viviamo in un costante clima di intimidazione, ma per me fare il giornalista è una vocazione”. Sono le voci dei giornalisti coraggio del Nicaragua, raccolte direttamente dal Sir: nell’ordine, Álvaro Navarro, direttore del sito “Articulo 66”, Ana Cruz, cronista di “El Nuevo Diario”, Israel Gonzáles Espinoza, corrispondente della spagnola “Religión Digital” e collaboratore di “Articulo ‘66”.
Tre voci tra quelle che in queste settimane fanno sapere al mondo che nel Paese centroamericano è in atto una repressione sempre più feroce da parte del governo di Daniel Ortega. Un regime che si sta trasformando in dittatura, come ha detto giovedì scorso una voce autorevole e imparziale, quella di Paulo Abrao, segretario esecutivo della Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh). In questa attività di repressione i giornalisti liberi, e quindi scomodi, sono diventati i nemici numero uno.
Repressione sempre più dura. Prima è toccato al giornale “El Confidencial” e al suo direttore Carlos Chamorro. Le forze speciali del regime hanno devastato la redazione e picchiato vari giornalisti. Poi al canale televisivo “100% Noticias”, chiuso dalle autorità governative, mentre sono stati arrestati il direttore e proprietario Miguel Mora e la giornalista Lucía Pineda Ubau. Sono solo alcuni esempi delle tante minacce e attacchi: un centinaio di episodi solo nei mesi di ottobre e novembre secondo la Cidh, circa 400 tra aprile e ottobre secondo la Fondazione Violeta Chamorro. Sotto tiro le già citate testate, ma anche lo “storico” quotidiano “La Prensa” e numerose radio locali, non solo a Managua, ma anche in altre città, come León e Matagalpa.
Chi sarà il prossimo? I nostri intervistati non lo nascondono, temono che tocchi a loro. Israel Gonzáles commenta: “La Cidh ha spiegato che è in atto la quarta fase della repressione”. Per i giornalisti indipendenti, questo significa “intimidazioni, calunnie sui social network, pestaggi e furti delle proprie attrezzature, raid nelle redazioni”. Fino all’arresto e al rischio stesso della propria vita. Rispetto alla scorsa primavera si registra un escalation, non solo per il numero di episodi, ma per la loro intensità:
“Prima il rischio era di essere attaccati mentre facevamo il nostro lavoro sulla strada, durante le manifestazioni. Ora vengono direttamente nelle redazioni”.
Certo, afferma Gonzáles, “è una situazione difficile, c’è chi ha famiglia, ha figli… Ma in questo momento il nostro è un ruolo storico, quello di stare dalla parte della verità e del nostro popolo. Io, da cattolico, dico che l’essere giornalista è una vera e propria vocazione, e un servizio alla comunità”.